Nanoparticelle non solo cancerogene ma anche teratogene?


Valeria Fieramonte

 

 

L’Istituto italiano di tecnologia (Iit), un palazzo sulle alture di Genova ponente costruito di recente, è diventato in breve tempo, sotto la direzione di Roberto Cingolani, uno dei centri scientifici più noti e prestigiosi del mondo. Occupa circa mille ricercatori, di età media sui 34 anni, tra i quali il 31% sono donne, anche se le posizioni apicali sono quasi tutte maschili. Questa attenzione alla percentuale di donne  presenti non è frequente ( di solito i laboratori scientifici ignorano il dato) e, trattandosi di un istituto tecnologico, il 31% è una percentuale molto significativa.

La ricerca che più mi interessa qui segnalare, per le sue implicazioni di enorme portata, riguarda i rischi di tossicità delle cosidette ’nanoparticelle’, oggetti ormai classificati ‘a bassa media o alta tossicità’, che quando sono sotto i cento nanometri non si formano in natura proprio perché sono instabili e hanno una fortissima capacità di entrare nelle cellule del  corpo e anche di essere respirate.  Da tempo numerose ricerche segnalano il pericolo che possano essere cancerogene, ma ora c’è una ulteriore ricerca che segnala anche rischi di malformazioni alla prole.

Lo studio è stato fatto sulle ‘drosofile’ ( o moscerini della frutta, delle specie di minuscole moschine  molto amate nei laboratori per la loro facilità d’uso) che per tre mesi sono state alimentate con polenta con all’interno delle nano particelle di oro. L’oro non è considerato tossico, pensate se si trattava di nano al carbonio o all’amianto. Ebbene: la seconda generazione di drosofile, in pratica i nipoti e le nipoti, sono nate deformi, con ali storte o assenti, prive di occhi, con torace compromesso e altri generi di problemi



E’ uno studio di enorme rilevanza, dato che ormai l’industria, che non attende mai la sicurezza rispetto ai nuovi prodotti e le usa anche nelle creme solari e di bellezza, negli hair conditioner, negli spazzolini, nelle vernici, nei detergenti per auto, nelle padelle e chissà quanto altro, ha già cominciato a diffonderle sul mercato.

Considerato che un centimetro cubo di aria può contenere dalle dieci alle cinquantamila nano particelle, fossero pure più grandi di 100 micron,  quali potrebbero essere gli effetti di lungo periodo? L’allarme circa questo problema mi ha talmente turbato – anche perché sono consapevole della difficoltà per un pubblico medio nel capire la pericolosità del molto piccolo e invisibile, basta pensare alle  proteste di alcuni anche solo di fronte alle proposte di riduzione delle polveri sottili – che non posso dire di aver seguito con attenzione proprio tutto il ricchissimo dibattito che si è svolto in una due giorni di lavori di estrema franchezza, tra i ricercatori e il gruppo di giornalisti scientifici di cui facevo parte.

Fino a qualche anno fa, l’oro era considerato biocompatibile per definizione, mentre invece se nano ingegnerizzato diventa pericoloso come una polvere di amianto qualsiasi, anzi ancora di più, dato che è in grado di determinare malformazioni nella progenie! Non mi sento perciò di fare come è per solito costume dei giornalisti scientifici: minimizzare in attesa di ulteriori ricerche. Di troppi errori è ormai costellata la cosiddetta ‘ricaduta pratica’ di qualche ricerca scientifica per continuare a tacere in modo pusillanime. Questo significa che occorrerebbe fare molte altre ricerche, e solo quelle, prima di immettere sul mercato prodotti tanto rischiosi: si spera almeno che la CEE – che ha investito molto nel settore nanotech – obblighi senza imbrogli i produttori a dichiarare se i prodotti sono nano free o no.

Detto questo, che a mio avviso era la notizia più importante, l’Istituto italiano di tecnologia non fa solo ricerca preventiva: ha prodotto una serie di brevetti in campo medico di notevole importanza e prestigio: nel 2010 un analgesico che non penetra nel cervello ( e quindi evita di produrre dipendenza e diminuisce i potenziali rischi di tossicità) e nel 2011 una molecola che controlla la ‘voglia di grasso’, per il trattamento dell’obesità, e una nuova classe di farmaci antidolorifici e antistress.

Per il 2012 sono in arrivo un farmaco che accelera la guarigione delle ferite, una nuova classe di farmaci per combattere la sclerosi multipla e la proposta di un nuovo ‘principio attivo’  per combattere l’invecchiamento cerebrale del quale per ora non si può dire di più. Tra le ricerche più significative in corso, si possono citare quelle di Luciano Fadiga, studioso di robotica e scienze cognitive e che è stato tra gli scopritori dei neuroni specchio, e di Fabio Benfenati, direttore del dipartimento di neuroscienze. Studiano, tra le altre cose, le sinapsi, che sono l’apparato di trasmissione dei neuroni, perché il loro malfunzionamento è alla base di varie malattie cerebrali. Millisecondo per millisecondo osservano che cosa fa un singolo neurone che per questo viene appiccicato a un elettrodo e monitorato. L’obiettivo non si sa quanto vicino sarebbe di trovare dei polimeri sensibili alla luce per curare la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare.

L’energia di un neurone è un decimilionesimo di watt: se si volesse riprodurre un cervello umano dentro un robot ci vorrebbe perciò uno spazio enorme, dato che i robot di energia ne consumano molta di più. Quello che si può fare è ideare robots più semplici il cui consumo stia sotto il kw
ma soprattutto che producano da soli l’energia che gli serve. Infine Giuseppe Gigli ha parlato di energia a basso costo nel fotovoltaico tramite l’uso di plastiche invece del silicio. Il consumo globale di energia nel mondo oggi ammonta a 15 Terawatt (TW). Di questi circa 40TW sono prodotti tramite il petrolio, 23 TW dal gas, 24 dal carbone, mentre alle energie rinnovabili spetta solo un miserrimo 1%. Entro il 2050 si prevede un fabbisogno di 30TW, ovvero il doppio di adesso. Il fabbisogno odierno di energia mondiale potrebbe essere coperto oggi da 14 TW di solare ( ma la potenzialità è anche maggiore, basterebbe aumentare la potenza dei pannelli).

Tramite dei grafici il relatore ha anche mostrato quanto sia falsa e strumentale la paura di coloro che dicono che si consumerebbe troppo suolo pubblico, dato che le soluzioni alternative sono facilissime, o che basterebbe un ventesimo della superficie del Sahara. ( Per quanto riguarda l’Italia basterebbe – come dice Silvio Rubbia – coprire i tetti delle serre agricole per ottenere i 58 Gigawatt di energia che ci servono per il fabbisogno annuo.) La maggior parte dei pannelli che ci sono in giro per il mondo è cinese ( i cinesi producono anche sottocosto per conquistare il mercato più velocemente).

I pannelli prodotti nella UE coprono per ora solo il 5% del fabbisogno e sono più cari. Sono in genere in silicio policristallino, un materiale riciclabile. Quelli proposti dall’Iit sono fatti di plastiche meno costose che si è trovato ora il modo di portare a un  rendimento simile a quello del silicio ( tra il 20 e il 25%). Sperano di andare in produzione entro 3 anni. Dato che sono di plastica sono molto duttili e semitrasparenti, si potrebbero perciò usare al posto dei vetri delle finestre o essere modulati a seconda del sole. Resta da vedere se saranno riciclabili tra i rifiuti non tossici.

Raffaella Tonini – neurofisiologa



Raffaella Tonini
non faceva parte dei relatori ufficiali. Ho chiesto io – per bilanciare l’evidente disparità ( otto uomini e una donna) del panel di ricercatori con cui la nostra delegazione colloquiava, di presentarmi qualche altra ricercatrice, e la scelta delle donne presenti è caduta su di lei.
La Tonini studia come i circuiti neurali delle varie aree del cervello si integrano tra loro allo scopo di determinare procedure comportamentali specifiche. L’obiettivo non è – o almeno si spera, di ottenere un aumentato condizionamento mentale stile grande fratello, ma la possibilità di curare i disturbi ossessivo compulsivi, per esempio quelli prodotti dall’assunzione di droghe o dovuti a lesioni, riportando il cervello in equilibrio, vale a dire con un controllo normale ben bilanciato tra azioni volontarie e procedure automatiche. Ci sono infatti sani automatismi di natura cognitiva che ci permettono di risparmiare risorse cerebrali. Sono comandi automatici che non abbiamo bisogno di ricordare ogni volta.
Gli effetti delle sostanze endogene sul cervello, per esempio le anfetamine, alterano subdolamente il bilancio cerebrale  perché agiscono sugli stessi circuiti che usiamo per l’apprendimento e la memoria, in questo modo super- stimolano i recettori che vengono iperattivati e li bruciano.
Lo stesso vale per il THC , principio attivo della mariujana. “La mia long term vision, conclude la ricercatrice,  è di capire come queste sostanze modificano le dinamiche normali dei circuiti cerebrali inducendo uno stato patologico, al fine di poterlo curare”.

C’è da chiedersi – dato che per esempio le ricerche sull’Alzheimer, che con il diabete ha ormai raggiunto dimensioni endemiche, sono neglette e in grande ritardo, se non sarebbe opportuno potenziare anche questo campo di ricerche. La popolazione mondiale, 7 miliardi e 400 milioni di persone, vive oggi in media 10 anni di più che nel 1960. Di questa, un 10% ha degli handicaps. Dopo i 70 anni la percentuale di disabilità sale al 20% e dopo gli 85 le persone con qualche, anche lieve, disabilità sono il 50% . Senza contare, naturalmente gli incidenti di ogni tipo e le guerre: purtroppo in campo medico le aree di ricerca sono sempre vastissime.

 
 

 

 

26-1-2012